Tradurre è un po' tradire
Ma non potendo conoscere tutte le lingue del mondo quanto mi posso fidare delle traduzioni che leggo?
Quando da ragazzina mossi le mie prime critiche ad alcuni aspetti per me irrazionali della mia confessione religiosa, sino a quel momento seguita pedissequamente, mi venne detto che per alcune cose non esistevano spiegazioni ma che occorresse compiere quello che viene definito come un atto di fede. Era quest’ultima a corroborare i fenomeni che non potevano essere spiegati in maniera razionale.
Purtroppo, o dovrei dire per fortuna, la mia testa trovava e trova ancora oggi più affascinante una spiegazione, per quanto complessa, al semplice atto di fede. Per dirne una, neanche gli assiomi della geometria euclidea mi andavano poi così tanto giù, meglio una bella dimostrazione.
Da allora di anni ne sono passati veramente tanti ma la mia poca propensione agli atti di fede è rimasta inalterata e i pochi che compio sono fatti con una fede condizionata e per usi non certamente di natura teologica.
Forse il mio più grande di questi atti è fidarmi di ciò che leggo in traduzione ma, dato che tradurre è un po’ tradire e che in Babel R.F. Kuang dice che “ogni atto di traduzione è un atto di tradimento” quanto margine di scetticismo devo mantenere nella lettura?
Quando leggiamo un’opera in traduzione a volte viene da storcere il naso, da pensare che ci sia qualcosa che non va ma, mi chiedo, con che criterio possiamo dirlo?
Ovvio che conoscendo la lingua nella quale un’opera è stata scritta tutto diventa più semplice, si ha accesso al materiale originale e si può godere non solo della prosa ma anche dello stile e delle scelte lessicali di chi l’opera l’ha concepita. Se invece la conoscenza della lingua di partenza non c’è sarà chiaramente precluso l’accesso all’opera nella forma in cui è stata pensata e l’unico modo per conoscerla sarà attraverso l’atto di tradimento di cui sopra.
Ci sono persone che ritengono sia impossibile poter apprezzare completamente un libro o un fumetto in traduzione poiché non saranno mai uguali all’originale: le differenze tra la lingua di partenza e quella di arrivo, le scelte linguistiche di chi si occupa della traduzione, il lessico che non coincide, sono tutti fattori che rendono complessa se non impossibile un’aderenza totale al testo originale.
Pur riconoscendo tutto questo, sono convinta che si possa e si debba fare un lavoro tale da poter rendere l’opera in traduzione al massimo delle possibilità che la lingua d’arrivo offre.
Se per l’inglese, o in misura inferiore il francese, mi è possibile attingere alla fonte originale lo stesso non si può dire per altre lingue, come per esempio il giapponese, per le quali mi trovo costretta a compire il famoso atto di fede se voglio avvicinarmi alle opere che mi interessano.
Non conoscendo il giapponese non ho alcuno strumento per giudicare la qualità della traduzione e nel corso del tempo ho imparato non solo a non dire, ma neanche a non pensare “questa cosa è tradotta male”. C’è però un aspetto sul quale penso di poter dire la mia: l’adattamento in italiano. Le frasi farraginose, a volte sconclusionate che mi capita di leggere mi fanno pensare che ci si limiti a una traduzione formalmente corretta ma ben poco fluente, essendo io italiana non voglio leggere qualcosa scritto in giapponese con le parole italiane, voglio leggere in italiano qualcosa che è stato pensato in giapponese e penso che le due cose siano profondamente differenti.
Al di là dei refusi che, come gli errori casuali degli esperimenti scientifici, sono impossibili da eliminare se non in edizioni successive sarebbe bello se si facesse sempre un lavoro di adattamento accurato per rendere veramente accessibile la lettura.
Spesso, per motivi suppongo di tempo o di disponibilità economica, questo lavoro viene sacrificato e ai lettori vengono proposte edizioni ampiamente rivedibili. Io non credo che la platea dei lettori si meriti questo trattamento, tantomeno se lo meritano le opere in traduzione. Sarebbe bello prendersi più tempo, lavorare con calma e cura ma mi rendo conto sia un’utopia e quindi toccherà continuare a fare atti di fede storcendo il naso e forse con più scetticismo e rassegnazione che altro.
PS: Questa riflessione nasce alla luce di una recente lettura manga che ho voluto supportare in italiano ma che avevo già letto in francese. Nella rilettura italiana ho provato un senso di difficoltà e mancanza di fluidità nel discorso che non avevo assolutamente provato nella lettura in francese. Questo fatto mi ha posto molti dubbi perché sebbene geograficamente io sia più vicina alla Francia che all’Italia non mi era mai capitato di avere più difficoltà nella mia lingua madre.
Purtroppo questo sentimento di difficoltà è condiviso e me ne dispiaccio perché, ancora una volta, un’opera a cui tengo si trova ad arrancare anche tra coloro che potenzialmente avrebbero potuto apprezzarla. Ammetto di essere abbastanza delusa e indecisa sul da farsi anche perché, non essendo certo un campione d’incassi, nulla verrà fatto per migliorare la cura editoriale di questa serie ed è un vero peccato.
Ringrazio Elena per aver riflettuto con me su questo argomento che mi ha ispirata a tornare su questi lidi e spero non vi rammarichiate del fatto che non vengono fatti nomi, alla fine non conta di che manga si tratti per me conta di più lo spirito della riflessione che volevo fare.
A presto.